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Sintesi storica di CUGNOLI

La notizia più antica della popolazione di Cugnoli è quella del 1173, anno in cui sono registrati 36 capi di famiglia, tassati per un soldato e per un soldato e mezzo a cavallo; il paese offrì tuttavia al Re Guglielmo II il Normanno (1166-89) tre militi e sei serventi.

Nella « Descrizione del Regno di Napoli » di Scipione Mazzella dell'inizio dell'anno 1594, cioè sotto il regno di Filippo II, si trova citato Cugnoli con fuochi 133, quanti ne aveva anche durante il regno di Carlo V (1554); ma nel 1669 vi sarebbero stati 52 fuochi.

Nel « Compendio sulle dodici provincie del Regno di Napoli » di G. M. Alfano il numero degli abitanti di Cugnoli nel 1798 è di 781; ma già De Luca e Mastriani nel loro Dizionario cronologico d'Italia, nel volume che si riferisce al Regno di Napoli del 1852, citano Cugnoli con 1320 abitanti, che verso la fine del secolo raggiungono il numero di 1844.

Scorrendo i registri parrocchiali si rimane sorpresi nel rilevare in alcuni « anni di carestia » l'elevata mortalità del nostro paese, che superò di gran lunga quella abituale e fu superiore perfino a quella degli anni di grande morbilità, in cui delle epidemie (scarlattina, difterite, vaiolo) fecero elevare in modo notevole la mortalità, specialmente quella infantile. Tra questi anni di carestia va segnalato il 1817, che era ricordato dai vecchi cugnolesi come uno dei più infausti, per il triste ricordo che aveva lasciato, per il numero delle morti causate dalla fame e dal freddo, ciò è dal nostro registro parrocchiale confermato in maniera impressionante.

Lasciando da parte ed insoluta la ipotesi avanzata da qualche studioso, che le due città Vestine, situate al confine con i Marrucini, (di cui parla T. Livio e che furono prese dai Romani, condotti dal Console G. Bruto Sceva nella seconda guerra sannitica nell'anno 325 av. C.), e cioè Cutina e Cingilia, siano da identificare rispettivamente in Catignano e Cugnoli, resta il fatto che nel territorio di Cugnoli doveva esservi per lo meno qualche pagus o vicus, come dimostrano i numerosi rinvenimenti, fatti casualmente in diversi periodi di tempo, di mura, di terme, di tombe e suppellettile funebre, di idoli e di recipienti per conservare cereali e liquidi.

Di questi ricordo specialmente i ritrovamenti fatti in contrada Cesura, dove si è mostrata l'esistenza, oltre che di un rozzo edificio termale, di alcune tombe ad inumazione, che possono essere assegnate, come dimostrarono alcuni reperti numismatici, all'epoca dell'aes grave vestine, e del didramma campano (IV-III sec. av. Cr.), attraverso il periodo repubblicano, a tutto l'impero romano d'occidente fino all'epoca degli imperatori della casa di Teodosio (IV sec. dopo Cr.), cioè fino al periodo delle invasioni barbariche, quando quei paesi dovettero essere distrutti.

Altri ruderi e reperti archeologici sono stati fatti, in passato, in contrada San Pietro e all'Adragona. Ricordo ancora due robuste costruzioni in malta durissima, esistenti una in contrada San Pietro e l'altra al Colle della Torre (Fig. 2), forse depositi d'acqua per approvvigionare guarnigioni militari colà dislocate; nelle vicinanze di questa seconda costruzione si rinvenne molti anni or sono un asse dell'Imperatore Caio Cesare (37-41 d. Cr.). La mancanza assoluta di lapidi o di epigrafi di qualsiasi genere ci lasciano completamente all'oscuro su queste località abitate esistenti nell'attuale lenimento di Cugnoli.

Desidero anche ricordare che, fino a pochi anni orsono, quando il Tratture era nella pienezza della sua estensione, facilmente si rinvenivano lungo di esso dei frammenti di selce lavorata o anche degli oggetti di selce interi (frecce, coltelli, raschiatoi, ecc.), ma non si è mai riusciti a stabilire se esistesse e dove una stazione preistorica, perché detti frammenti erano disseminati nel terreno, senza una speciale ubicazione, né vi era una zona dove si trovassero con maggior frequenza; i loro caratteri sono quelli dell'industria litica del paleolitico medio e superiore.

Scarsissimi sono i riferimenti a Cugnoli, presenti nel Chronicon Casauriense e la ragione è facile comprendere in quanto Cugnoli, a differenza di paesi vicini: Alanno, Pietranico, Corvara, Pescosansonesco, non era compreso nei confini del territorio appartenente all'Abazia Casauriense. È spessissimo nominato il nostro torrente, il Cigno, ben descritto in alcuni documenti, come ad esempio in quelli del 1161 essendo Abate Leonate, per quanto io abbia l'impressione che in qualche altro punto esso venga confuso con altro fiume situato al di là di Forca di Penne e che, come è scritto, va a sboccare nella località, che « Capitaqua dicitur », « in confinum valvensis comitatis ». Curiosa e non chiara è la spiegazione del perché si chiama Cigno: « Cignus vocatur quia eius aqua, in quibusdam suis gurgitibus, serpenticulos et anguillulas nutrii ».

Nel capitolo, che si riferisce agli anni 1113, 1114 e 1115, essendo Abate Gisone, alcuni personaggi potenti e cioè Robertus Trogisii et Gerardus de Conjulo con i suoi fratelli occuparono i beni della Chiesa e alcuni possedimenti « in Castello, quod dicitur Alanne », asserendo falsamente che l'occupavano per conto dell'Abadia, ma ne furono scacciati.

In un altro documento del tempo dell'Abate Alberico dell'anno 1111 intitolato «Scriptum in terra Sansonesca» vi è l'elenco dei Vescovi cattolici e di personaggi diversi, che sono presenti, fra essi vi sono Oderius et Paganus de Conjulo, oltre ad un « Trasmundus filius couiusdam Rainaldi de Civitaquana », paese che neppure apparteneva all'Abbazia, ma nel documento è detto che in questa riunione erano presenti « et aliqui quamplures boni homines circumstantes et residentes ». La ragione di ciò si comprende alla fine del documento, dove si elencano alcune proprietà dell'Abazia di Casauria e, per quello che più riguarda il nostro Paese, « Fabricaeque equidem pertinentiam de Ripaalta et pertinentiam de Conjule et Alanne pertinentiam ». Il Castello di Ripalta, ora del tutto scomparso e il cui nome si trova anche in una delle mattonelle bronzee della porta della Chiesa di S. Clemente a Casauria (fuse al tempo dell'Abate Joele, succeduto al magnifico Leonate e quindi nel periodo aureo dell'Abazia), aveva, per tradizione, la sua ubicazione a mezza via fra Cugnoli e Pietranico, nella località ora detto «Colle Morto» sul Tratturo. Si comprende l'invito fatto a quei personaggi che, pure non appartenendo a paesi dipendenti direttamente dall'Abazia di Casauria, erano di paesi che avevano «pertinentias» riguardanti l'Abazia. Ciò non può destare meraviglia perché in un documento dell'anno 1078, essendo Abate Trasmondo vescovo, si parla di un rnodio di terra in «Nucciano», paese che neppure dipendeva dall'Abazia.

E giacché parliamo di riferimenti storici è curioso rilevare che il nome di Cugnoli appaia, sui varii documenti di diversa epoca, con ortografia che varia da Cognolo, Conyulo, Cogniolum a Conidu, Congiali, Cellulo, Conglobo evidentemente nomi alterati dagli amanuensi e copisti, come pensa Antonio Ludovico Antinori, Arcivescovo di Matera, che ci ha tramandato numerose e preziose notizie storielle degli Abruzzi.

Nel 1173 Cugnoli era feudo di Rainaldo di Brittoli, Gentile da Pietrainiqua e Guglielmo e Bartolomeo che l'avevano avuto da Ragone di Pugliano; successivamente ebbe feudo a Cugnoli Cleopa di Civitaquana, ma solo in parte, poiché era tassato per mezzo soldato a cavallo e in questo feudo vi erano dodici famiglie soltanto.

Nell'intimazione fatta dal Re Carlo I d'Angiò nel 1279 a tutti i feudatari per mezzo del regio Giustiziere d'Abruzzo, Guglielmo Brunelle Milite, per la somma della tassa annuale e del servizio, che erano tenuti a pagare al Re, troviamo Cugnoli, tenuta per un terzo da Bartolomeo di Cusano e per un altro terzo da Tomaso di Cretano ed in altro punto dello stesso notamente troviamo Cugnoli e Fabrica (località non ben determinata, ma che è nominata assai spesso insieme con Cugnoli e con Ripalta), tenute da Guglielmo di Letto per intero e la sola Fabrica per metà. Nella stessa intimazione, vicino al nome di Cugnoli, è citato Andravano, posseduto da Bernardo di Torre, feudatario di Salle, e da suo nipote Berardo: evidentemente è la località di Cugnoli chiamata ora in dialetto Andravene.

Nel 1316, morto Berardo di Letto, gli successe il fratello Guglielmo nella Signoria di Fabrica, Petranico, Ripalta e di Cangiali!, denominazione che l'Antinori ritiene debba essere Cugnoli, data anche la vicinanza con gli altri paesi e castelli nominati.

Nel 1322 troviamo che la metà di Cugnoli apparteneva a Riccardo, Corrado e Rinaldo figlio di Gualtiero della potente famiglia degli Acquaviva di Atri e di S. Valentino, e nel 1324 Riccardo, feudatario anche di Capestrano, soffrì delle « turbazioni » nel possesso di Tocco e di Cugnoli, che erano stati feudi di Ceccarella d'Acquaviva.

All'inizio del secolo XV (verso il 1417) Polissena di Letto concesse a sua cognata Rosana dei Melatino, moglie di Benedetto Profeta di Chieti, l'usufrutto del Castello di Cugnoli.

Francesco, figlio di Agamennone Riccardo, — che per essersi ribellato al Re Ferdinando I d'Aragona ebbe nel 1449 confiscato tutti i suoi beni, — divenuto vedovo di Antonia, figlia di Cerrone di Letto, sposò una donna appartenente alla famiglia degli Acquaviva e possedeva fra altri paesi Vestea, Cugnolo, Vicolo ed il Castello disabitato dell'Andravano, che abbiamo già nominato, per averli avuti in concessione dal Duca di Calabria, vicario del Re, dopo che quei castelli, erano stati tolti a Carlo Pagano, dichiarato ribelle. Non è chiaro se Francesco in seguito anche egli sia stato dichiarato ribelle per aver aderito al partito del Re angioino ed abbia perduto i suoi feudi, perché troviamo che vennero in possesso della Città di Chieti.

Nel 1580 fu concesso ai Frati Minori del terz'ordine non si sa se l'intero paese di Cugnoli o soltanto, come è più probabile, la sua parte situata presso la Chiesa di S. Maria degli Angeli; questo beneficio fu soppresso ai tempi di Papa Innocenzo X (1644-55).

All'inizio del secolo XVII Cugnoli apparteneva, come si è detto, alla Città di Chieti, che la vendette a Enrico Orsio ed al fratello Abate Giovanni Domenico, internunzio a Roma del Re di Polonia ma, essendo i due fratelli venuti in lite col Viceré di Napoli, don Ramiro Felipe Nunez de Guzman, Duca di Mediila Las Torres (1637-43), questi inviò la sua compagnia di lance a punire Cugnoli, Filetto e S. Martino con l'ordine che questi militari dovessero essere mantenuti a spese dei due fratelli. La Città di Chieti, inoltre, pretese di ricomprare i detti castelli, che aveva venduto con diritto di riscatto e il Viceré aderì alla richiesta di Chieti, che ne fece una vendita fittizia alla Marchesana di Pescara. Questo acquisto costò ben poco alla Marchesana, perché subito rivendette Cugnoli, che era uno di quei castelli, a Valerio Valignani, mentre gli altri rimasero di proprietà di Chieti.

Nel 1669 Santo di Stefanuccio e compagni di Cugnolo risultano essere possessori di un feudo in questa terra, ma, evidentemente, solo di una parte di essa; incaricato di sorvegliare l'amministrazione degli edifici e delle strade pubbliche, cioè per la portolania, fu nominato Giulio d'Alessandro.

Nella seconda metà del secolo XVII Cugnoli apparteneva ai Caracciolo di Castel di Sangro, ma il priore Giovan Battista Caracciolo, a nome di Marino e Alfonso, figli minori di Ferdinando Caracciolo di Santobono, morto durante la rivoluzione di Napoli capitanata da Masaniello (1647), cedette per 18.000 ducati i feudi di Alanno, di Cugnoli e Andraona a Marcantonio Leognani- Ferramosca o Fieramosca, a quella famiglia cioè, alla quale appartenne l'eroe della disfida di Barletta, Ettore Fieramosca, la cui sorella Porzia aveva sposato un Leognani. Così il nostro paese nel 1653 passò a questa famiglia dei Conti di Cerato, Leognani-Fieramosca ; ad essa e alla famiglia del Duca di Alanno, Bassi, apparentato per parte femminile con la famiglia Leognani-Fieramosca, rimase fino a quando la prima vendette la sua parte nel 1838 al notaio Domenico Antonio Tinozzi ed al fratello Francesco, a Emidio di Marco e a Luigi Napoleone, e la seconda, all'inizio di questo secolo, vendette la parte sua alla famiglia di Leopoldo Pacitti.

Fra le cose notevoli esistenti in Cugnoli, la maggiore di tutte è il ben conosciuto pulpito (Fig. 3), esistente nella Chiesa Abaziale, oltre ad un gruppo ligneo dorato e policromo dell'Annunciazione, formato dalla Vergine e dall'Arcangelo Gabriele, quasi certamente di Scuola Abruzzese del sec. XVI o XV (Fig. 5), sottratto all'ultimo momento, al pennello di un imbianchino locale, che, alcuni anni or sono, iniziò la dipintura delle ali dell'Arcangelo a strisce rosse e bianche, e si accingeva a estendere questa sua opera a entrambe le statue!

Il pulpito è del 1166, indizione XIV, come è detto nell'iscrizione, esistente al suo lato sinistro, e fu fatto costruire, dall'Abate Rainaldus, quello stesso che era stato a Moscufo, e forse dallo stesso Artefice, cioè Magister Nicodemus (da Guardìagrele, secondo alcuni A. e secondo la tradizione popolare), nome che è presente nell'ambone di Moscufo, ma che manca in quello di Cugnoli, probabilmente perché è andata perduta la parte che portava il nome dell'Artefice, che a Moscufo è sul cancello della scala.

Questo ambone fu studiato e fu oggetto di dotte pubblicazioni del De Nino, del Berteaux, professore di arte medioevale nell'Università di Lione, dell'Illuminati, del Balzano e di J. L. Heiberg, professore di filologia classica dell'Università di Kopenhagen e profondo conoscitore dell'arte normanna.

L'Heiberg venne a Cugnoli personalmente nel 1905 inviato da Guglielmo II, Imperatore di Germania, con lo scopo di studiare i legami esistenti e le possibili derivazioni dell'arte nostra dall'arte normanna.

Alcuni motivi ornamentali, come quelli del personaggio armato di roncola, assalito da animali (lupo ed aquila) e circondato da un groviglio di rami e di viticci, strettamente intrecciati, che si trovano nella parte inferiore del pulpito sui capitelli delle colonne (Fig. 4), sono dall'Heiberg interpretati come semplici motivi decorativi dell'artista, che ricalca il gusto dei Normanni, seguito nell'Italia Meridionale, sia pure con qualche riflesso bizantino e arabo, e non ammette che un significato simbolico sia in esso racchiuso, cioè dell'uomo nella selva del peccato, che cerca di districarsi e difendersi, come è ritenuto da altri Autori (Illuminati, Balzano). A questo proposito ricordo che l'Heiberg, in una mia visita a Kopenhagen, mi ripeteva ridendo che « loro barbari » non conoscevano un tale profondo senso simbolico!

È notevole il fatto che, secondo l'Heiberg, questo nostro pulpito con quelli di Santa Maria del Lago di Moscufo e con l'altro di S. Maria in Valle Porclaneta presso Rosciolo dei Marsi, costituisca un gruppo di tre pulpiti a parte, ben diverso da tutti gli altri pulpiti esistenti negli Abruzzi.

Nel nostro pulpito, così come anche, in linea di massima, negli altri due, oltre ai simboli dei quattro evangelisti (il toro, il Icone, l'aquila e l'angelo) si notano l'albero della vita, Giona nelle fauci del mostro marino, Sansone col Icone, Davide con l'orso, un Santo avvolto da lunghi capelli, forse S. Onofrio, ed alcuni momenti della Santa Messa, che con molta probabilità riflettono l'immagine di S. Stefano e di S. Lorenzo. Come si vede è un'arte sorta non solo per una decorazione o una pura ragione estetica, ma, come dice il Balzano, corrisponde ad un bisogno dello spirito, essendo tutta ispirata ad un particolare sentimento religioso.

Il nostro ambone, secondo la tradizione, fu trasportato nella Chiesa abaziale dalla Chiesa di un Monastero, sito nella contrada San Pietro ed ora distrutto, che fornì anche una pietra con bassorilievo col simbolo del toro di San Luca, attualmente murato sulla facciata della Chiesa Abaziale, forse anche lo stemma sulla porta d'ingresso (una torre sormontata da due chiavi incrociate) e un bassorilievo con un Angelo nella Sacrestia.

La chiesa di S. Pietro di Cugnoli dovette avere importanza perché nell'elenco delle decime dei secoli XIII-XIV troviamo fra le decime pagate negli anni 1324 e 1328, essendo Papa Giovanni XXII, che la « ecclesia San Petri de Cungnulo » (in altra parte indicata come « S. Petri de Cugnulo » e anche «de Cungulo ») era soggetta a pagare «in argento tarenos odo», e che il pagamento fu fatto dall'Abate Pietro « solvente prò se, dictaque sua ecclesia ac ecclesis et clericis sibi subiectis », il che dimostra che quell'abazia aveva alle dipendenze delle Chiese e dei chierici.

L'Abate Pietro era persona autorevole, perché in altro punto del volume è detto che egli, (indicato come Abate secolare della Chiesa di S. Pietro di Cugnoli e cantore teatino), fu delegato con Frate Antonio, Abate del Monastero di Santa Maria di Letto della diocesi Valvense, a riscuotere le decime nelle città e nelle diocesi: marsicana, aquilana, aprutina, reatina e spoletana, in qualità di subcollettore mentre il collettore era Geraldo de Valle, Cappellano del Papa e Nunzio nel Regno di Sicilia, di qua dal Faro.

La Chiesa Abaziale fu costruita nell'anno 1464, come risulta da una iscrizione soprastante all'antica porta d'ingresso del Tempio, che è situata nella sua parte posteriore destra, sotto la torre campanaria, e fu ampliata nel 1528, come è detto in un grafito esistente sulla pietra del pulpito che
porta la leggenda, e nel 1579, come si rileva da una leggenda trovata in un recente restauro della facciata.

Non poche furono le traversie di questo ambone che, per un evento pressoché miracoloso, fu lasciato al nostro paese, essendo già stato ricoperto da uno spesso strato di intonaco che lo sottrasse per qualche tempo alla vista del pubblico, il che preludeva al suo esodo da Cugnoli. Questa iattura fu evitata per opera dei fratelli Domenico e Stefano Tinozzi, i quali provocarono una sommossa popolare, che impedì il già preparato trasporto del pulpito; successivamente essi stessi, aiutati da altri compaesani, restituirono alla luce il prezioso cimelio, allontanando, con una pazienza da certosino, tutta la sovrastruttura di intonaco, che lo nascondeva.

Purtroppo parecchio tempo prima era avvenuto l'esodo di una croce processionale in argento e di un prezioso coro di legno intagliato!

Desidero ricordare ancora l'esistenza di una lapide, evidentemente sepolcrale, di epoca medioevale non precisata, visibile fino a pochi anni or sono alla sommità della scala della torre campanaria ed ora ricoperta da uno strato di cemento, apposto in quella sede per necessità della statica del pavimento; su di essa vi erano poche parole, ma veramente mirevoli per modestia ed umiltà: « Qui sumus ne quaesieris ».

Di altro convento, quello di Santa Maria, si conosce solo l'ubicazione ma non esiste più traccia; secondo la tradizione popolare esso fu distrutto dagli armigeri di un convento di un paese vicino, ma nulla di più preciso è dato sapere.

Anche del Castello non restano che la parte inferiore del muragliene ed il nome al sito dove esso sorgeva, e che è attualmente occupato da abitazioni civili. Fino a pochi anni or sono si ripeteva, in occasione di una delle maggiori processioni, la gentile usanza di apporre una crocetta di cera sull'architrave residuata alla porta d'ingresso del castello per un buon auspicio e per la protezione del castello, che voleva dire la protezione del paese intero.

Di personaggi di una certa importanza per la storia di Cugnoli ricordo: Zaccaria Tinozzi, che, nato a Cugnoli nel 1784, fu ufficiale nell'esercito borbonico e poi nell'esercito francese nel periodo dell'occupazione francese del Regno (1806-15). Per ricompensa «all'attaccamento al governo francese » fu scelto dal Generale Partouneaux come Secondo Tenente della I compagnia dei Volontari Reali al comando del Tenente Colonnello Cosce. Questa notizia risulta da un suo manoscritto inedito, dove sono riportate tutte le benemerenze da lui acquistate nella repressione al brigantaggio. Fu in Russia con l'esercito Murattiano, ma, dopo la caduta di Napoleone, con la restaurazione ed il ritorno a Napoli del Re Ferdinando di Borbone, non gli fu riconosciuta la promozione a Capitano che aveva ottenuto in quella Campagna.

Altro Cugnolese degno di menzione è Gaetano Tinozzi che, nato nel 1823, si trovò a Napoli studente in Medicina nel Collegio Medico e prese parte con i suoi colleghi alle barricate nella rivoluzione del 1848. Ebbe salva la vita per intercessione di un suo parente, il Maggiore Ranieri della Gendarmeria borbonica, ma fu espulso da Napoli e non potè laurearsi che nel 1862. In un suo tentativo di ritorno a Napoli verso il 1857, fu individuato il giorno stesso dalla polizia borbonica e costretto col padre, nonostante che questi nel frattempo fosse stato colpito da un attacco di gotta, a lasciare immediatamente Napoli e tornarsene in Abruzzo.

Nell'elenco dei «Carbonari » della provincia di Teramo del 1820-21, pubblicato da G. De Caesaris, si trovano i seguenti nominativi di Carbonari di Cugnoli: D'Amico Ignazio, De Angelis Vincenzo Camillo, Antici Ambrogio, Mascioli Giacomo, Mascioli Giustino, Mennuelli (Mennicoli?) Giustino, Tinozzi Domenicantonio, Tinozzi Francesco, ciascuno indicato come « proprietario » e col grado di « dignitario carbonaro ». Il Mascioli Giacomo probabilmente è quello stesso che, cancelliere comunale di Farindola, fu implicato, come informa il De Caeseris, nella rivolta di Penne del 1837.

Non può dirsi se Cugnoli abbia avuto una « vendita » o « baracca » della Carboneria, così come l'ebbero parecchi paesi d'Abruzzo anche di non maggiore importanza di Cugnoli, quali Vacri e Roccamorice, il cui suggello fu fatto conoscere da mio zio On.le Dott. Domenico Tinozzi e da me alcuni anni or sono.

Nella resistenza opposta negli Abruzzi ai Francesi invasori del Regno nel 1799, troviamo fra i promotori di questa resistenza, accanto ai Generali Pronio e Salomone ed al Vescovo Pirelli di Teramo, il Tenente don Vincenzo Maria Paolini di Cugnoli. Di lui non abbiamo altre notizie ma il fatto che egli soltanto sia nominato insieme con personaggi di tanto peso in quel periodo storico, ci fa pensare che la sua opera non fu di secondaria importanza di fronte ad altri che sono qualificati soltanto come « altri buoni Abruzzesi », senza alcun nome; ciò si rileva da un raro opuscolo intitolato: «Notizie degli Abruzzi nell'ultima invasione dei francesi fatta in Italia » stampato a Napoli nel 1799.

E purtroppo anche fra i briganti, che infestarono l'Abruzzo in diverse riprese, non manca il nome di qualche Cugnolese, anzi alcuni di essi, specialmente nel periodo della dominazione francese e sotto i Re Giuseppe Napoleone e Gioacchino Murai (1798-1815), — come ricorda il Coppa-Zuccari nella sua notevole opera su quel periodo storico, — con le loro bande si ripresentarono nel loro paese e, in ripetute incursioni, oltre che ruberie e saccheggi, fecero numerose vendette personali.

Così, ad esempio, il brigante Gennaro di Francesco di Cugnoli, ex soldato del reggimento Real Sanniti, che si riunì con altri giovani alla banda di Angelo dell'Orso. Egli si presentò a Cugnoli il 17 gennaio 1807, con molti altri briganti, arrestò Luigi Chiulli e Giacomo Tornei (indicato in alcuni documenti, secondo me erroneamente, col cognome dubitativo di Tornici) che evitarono la fucilazione pagando 60 ducati; malmenò Giustino Mennicoli, ufficiale della Guardia Civica e cercò, per ucciderlo, l'eletto dal comune, Francesco Tinozzi, che a stento si salvò, rifugiandosi nella casa di Fulvio Mascioli.

Cugnoli si munì delle porte, esistenti fino a qualche anno fa alle due estremità del paese; nessuna altra via permetteva l'ingresso in paese ad una certa ora della notte, essendo le porte guardate da sentinelle armate; questa precauzione si mostrò utilissima, se non sempre efficace, perché un paio di volte i briganti riuscirono a penetrare in paese nel burrascoso periodo del brigantaggio che seguì i primi anni dell'annessione del Regno di Napoli al Regno d'Italia e a cui purtroppo non mancarono di partecipare alcuni Cugnolesi.

Fra i briganti del periodo dell'occupazione francese del Regno di Napoli va ancora ricordato il Capo Brigante Angelo dell'Orso di Cugnoli, il quale, approfittando che gli uomini validi di Città Sant'Angelo si erano quasi tutti allontanati per recarsi alla fiera di Penne, nell'ottobre del 1807, insieme col sottocapo Massimo d'Angelo, detto Masciarello, di Farindola o di Penne e con la sua banda composta di alcune centinaia di uomini, (sembra di 700 uomini), assalì Città Sant'Angelo con lo scopo di saccheggiarla, ma, dopo parecchie ore di assedio, fu avvistato da un cittadino, che, da una feritoia lo freddò con un colpo di archibugio. I briganti alla morte del loro capo si sbandarono, e la città fu salva.

Questo brigante dell'Orso deve essere altra persona dell'omonimo « Capo Massa dell'Orso » che, come è detto nel manoscritto di Zaccaria Tinozzi, tentò in Catignano di far sollevare il popolo contro il Governo francese e fu sul posto giudicato e passato per le armi.

Il già ricordato Gennaro di Francesco non esitò il 18 ottobre 1807 a pretendere che il balivo di Cugnoli emanasse un bando perché tutti i soldati dell'ex Re, della leva del settembre, sotto pena di fucilazione per gli inadempienti, si presentassero al campo del brigante Masciarello (della quale banda il di Francesco asseriva che « per la sua bravura » era stato nominato uno dei capi), per armarsi contro il Governo francese.

Come si vede anche questo brigantaggio non aveva il solo scopo della razzia e del saccheggio, ma, come il brigantaggio del 1799 e l'altro dei primi anni seguenti all'annessione del Regno di Napoli, per citare i più vicini a noi, aveva in fondo anche una ragione politica e, a modo suo, di legittimismo.

Con ciò non intendo giustificare questo fenomeno che si risolveva in ruberie e in atti di violenza, ma mi pare che esso possa essere in un certo senso comprensibile, dato che le nostre terre in un secolo e mezzo si erano viste attraversate dagli eserciti spagnoli di Filippo V di Borbone; austriaci dell'imperatore Carlo VI; spagnoli di Carlo III di Borbone; francesi nelle due occupazioni, quella repubblicana del 1799 e l'altra dei Napoleonidi,

Giuseppe Napoleone e Gioacchino Murat; fra l'una e l'altra e dopo di esse avevano assistito al ritorno del Re della casa di Borbone Ferdinando IV e finalmente avevano visto giungere l'esercito del Re Vittorio Emanuele II, indicalo come « esercito Piemontese ».

Questo succedersi di dominazioni faceva sì che spesso si era incerti nello stabilire chi fosse il legittimo sovrano, per cui alcuni militari, per non venire meno al giuramento di fedeltà dato al momento dell'arrolamento, ritenevano di dovere rimanere fedeli al loro Re e si davano alla macchia. Ma il fenomeno del brigantaggio non può essere risolto in poche parole scritte a proposito della storia di un piccolo paese, perché esso investe tutta l'Italia meridionale, dove le condizioni di vita in quel periodo storico erano pressoché simili nelle diverse regioni.

Queste brevi note spero che siano utili per fare apprendere notizie non facilmente reperibili e per far conoscere vieppiù il nostro Paesello, ma specialmente voglio augurarmi che esse possano invogliare gli Studiosi di altri paesi a raccogliere e pubblicare le notizie che a questi si riferiscono, notizie che sarebbero destinate all'oblio, e che, insieme riunite, possono giovare, sia pure in maniera modesta, ad aggiungere una piccola tessera al grande mosaico di cui è fatta la storia!

Queste notizie sono state tratte da un opuscolo scritto dal

Prof. Dott. Francesco Paolo TINOZZI

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Ultimo aggiornamento: venerdì 12 maggio 2006
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